sabato 1 dicembre 2012

La cappella

Alla fine del sogno non riuscivo ad aprire quella porta, così ci ho provato da sveglia.

Ero in una cappella buia e spoglia, con solo una feritoia in alto a far luce. Le pareti erano nude, il pavimento terra battuta e umida. Al centro della stanza un altare di pietra era l'unico arredo. La luce che passava era calda e odorava di primavera, ma la finestra era troppo alta perché potessi anche solo vedere. La porta alle mie spalle non portava da nessuna parte, se non al corridoio del mio sogno. Non potevo tornare indietro e non c'erano altre uscite. L'unica via era scavare. E non me la sentivo ancora.

mercoledì 17 ottobre 2012

Corridoi


“The Brain has Corridors – surpassing
Material Place”.
(Emily Dickinson)


Dietro la porta c’era polvere, ruggine, tesori sepolti. C’era un corridoio che portava… No. Questo era il sogno.  La realtà erano divani scomodi, e uno stereo che non funzionava. Il fascino del proibito su una bambina di quattro anni.

Ossessionata, da allora non ho fatto che aprire e chiudere porte, sbirciare, toccare, nascondere. Ma quella porta è ancora lì. Conduce a una teoria di stanze chiuse a chiave: a volte è un caveau con enormi maniglie, a volte una cantina, scura e ben fornita.

Altre volte la porta è socchiusa e dietro c’è una stanza che fa male a pensarci.