“The
Brain has Corridors – surpassing
Material Place”.
Material Place”.
(Emily
Dickinson)
Dietro la porta c’era
polvere, ruggine, tesori sepolti. C’era un corridoio che portava… No. Questo
era il sogno. La realtà erano divani
scomodi, e uno stereo che non funzionava. Il fascino del proibito su una
bambina di quattro anni.
Ossessionata, da allora non
ho fatto che aprire e chiudere porte, sbirciare, toccare, nascondere. Ma quella
porta è ancora lì. Conduce a una teoria di stanze chiuse a chiave: a volte è un
caveau con enormi maniglie, a volte una cantina, scura e ben fornita.
Altre volte la porta è
socchiusa e dietro c’è una stanza che fa male a pensarci.
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